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Contratti docenti, la denuncia: Pochi fondi per aumentare gli stipendi di tutti, ma si trovano per premiare pochi, Chi ne beneficerà

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A pochi giorni dal prossimo incontro con l’ Aran (l’Agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni), previsto per il 26 marzo , il clima intorno al rinnovo del Contratto Collettivo Nazionale 2022-2024 per il personale della scuola resta teso. I nodi da sciogliere sono molti: stipendi troppo bassi, differenze nei diritti tra docenti di ruolo e precari, e una visione del “merito” che rischia di aumentare le disuguaglianze invece che valorizzare realmente chi lavora in classe ogni giorno. A raccontare lo stato delle trattative e le rivendicazioni più urgenti è Vito Castellana , coordinatore nazionale della Gilda degli Insegnanti , intervistato da Fanpage.it .

Un rinnovo che arriva in ritardo

Il contratto attualmente in discussione è relativo al triennio 2022-2024 , ma – come spesso accade nel pubblico impiego – arriva con anni di ritardo : «Il contratto è scaduto il 31 dicembre 2024, ma siamo ancora qui a discuterne. Di fatto, dovremmo già essere al lavoro sul contratto 2025/2027», sottolinea Castellana.

Uno dei problemi principali, spiega, è la complessa struttura del comparto “ Istruzione e Ricerca ”, che unisce scuole, università, accademie ed enti di ricerca: realtà profondamente diverse, ma trattate come un unico blocco nelle trattative contrattuali. Il risultato? Complicazioni burocratiche e tempi dilatati , che si traducono in una costante perdita di potere d’acquisto per i lavoratori .

Aumenti irrisori e stipendi inadeguati

Il cuore del problema è, come sempre, economico . L’aumento previsto dal contratto in discussione è di circa il 6% , lo stesso stanziato per tutta la Pubblica Amministrazione. Ma il settore scuola parte da stipendi storicamente più bassi rispetto ad altri comparti: «Un aumento percentuale uniforme penalizza chi guadagna meno. Anche in questo, la scuola viene sacrificata», denuncia Castellana.

In un triennio in cui l’ inflazione ha superato il 14% , un incremento del 6% appare del tutto insufficiente . E la frustrazione cresce: «Ancora una volta, quando lo Stato vuole risparmiare, taglia sulla scuola e sugli insegnanti. Ma i docenti non riescono più a vivere così».

Merito e burocrazia: i nodi del “middle management”

Un altro tema critico è quello della cosiddetta ” middle management “, ovvero l’idea di introdurre nuove figure di riferimento nelle scuole, premiando i “docenti migliori” sulla base di criteri di merito. Per la Gilda, questa è una deriva pericolosa e discriminatoria: «Non ci sono fondi per aumentare gli stipendi di tutti, ma si trovano per premiare pochi. È la scuola stessa a creare figure di sistema non ufficiali. Ma i docenti migliori sono quelli che fanno lezione in classe, ogni giorno, con dedizione e continuità». Il rischio è quello di aumentare la burocrazia interna, lasciando fuori proprio chi lavora a diretto contatto con gli studenti.

Le richieste della Gilda

La Gilda degli Insegnanti ha richieste avanzate precise e concrete:

  • Buoni pasto per tutti i docenti, per alleviare il costo della vita quotidiana.

  • Il recupero dell’anno 2013 , ancora oggi bloccato come anno di scatto stipendiale. Una misura che, secondo i calcoli del sindacato, comporterebbe un impatto economico di circa 350-400 milioni di euro , ma che rappresenterebbe un segnale forte di riconoscimento .

  • Integrazione dei compensi per i coordinatori di classe , figura fondamentale per la gestione scolastica ei rapporti con le famiglie, ma non riconosciute a livello contrattuale . Invece di istituire nuovi ruoli come i tutor, la proposta della Gilda è di utilizzare le risorse per la formazione incentivata e tutoraggi per retribuire chi già ricopre incarichi centrali.

  • Parità di diritti tra docenti di ruolo e precari. «Chi lavora nella scuola, anche se non è di ruolo, svolge esattamente le stesse funzioni. È inaccettabile che abbia meno tutele», ribadisce Castellana.

Un contratto da ripensare: serve una svolta politica

L’impressione è che il comparto scuola sia diventato il fanalino di coda del pubblico impiego: pagato poco, poco ascoltato e spesso gravato da nuove responsabilità senza adeguati riconoscimenti. La firma di un contratto, da sola, non basta : servire visione, investimenti mirati e soprattutto rispetto per una categoria che forma le generazioni future. «Il contratto dovrebbe servire a migliorare la qualità della scuola, non solo a chiudere un bilancio. Ma senza risorse vere, tutto resta sulla carta».

Prossimi sviluppi

Il tavolo negoziale è fissato per il 26 marzo presso l’Aran. La speranza è che, anche con le pressioni sindacali, si riesca a sbloccare almeno alcune delle richieste più urgenti ea dare dignità economica e professionale a chi ogni giorno lavora tra i banchi. La scuola italiana non può più permettersi contratti “ritardati” e promesse a metà: è tempo di scelte coraggiose

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