Francesco Marchetto, ex comandante della stazione dei carabinieri di Garlasco, è tornato a parlare del delitto di Chiara Poggi in un’intervista rilasciata a Storie Italiane, condotta da Eleonora Daniele su Rai1. Dopo 18 anni, mentre l’inchiesta è stata formalmente riaperta dalla Procura di Pavia, Marchetto ha ripercorso i momenti cruciali di una delle vicende giudiziarie più controverse degli ultimi decenni.
“Le indagini non sono mai state condotte a 360 gradi – ha affermato con fermezza – e oggi ci si deve chiedere se sia stato per inesperienza o per volontà”. Parole dure, che mettono in discussione l’impianto investigativo sin dalle prime battute.
“Sembrava un mercato del sabato”: il caos nella casa dei Poggi
L’ex comandante ha raccontato l’impatto devastante del suo ingresso nella casa di via Pascoli, quella mattina del 13 agosto 2007. “Quando sono entrato nella casa di Chiara, c’erano troppe persone. Una scena caotica. Sembrava un mercato del sabato a Garlasco. Siamo partiti col piede sbagliato”. Una fotografia inquietante, che lascia intendere quanto possa essere stata compromessa la scena del crimine sin dalle prime ore.
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Il capannone mai perquisito e l’allarme disattivato
Uno dei punti più critici sollevati da Marchetto riguarda il capannone del padre di Alberto Stasi. “Mi recai lì personalmente. Stasi disattivò un sistema di allarme prima di aprirmi. Poi mi mostrò una bicicletta, ma non corrispondeva a quella descritta dalla signora Bermani”.
Nonostante la successiva emissione di un decreto di perquisizione esteso a tutti i luoghi riconducibili ad Alberto Stasi, quel capannone non venne mai perquisito, denuncia l’ex comandante. Marchetto aveva anche chiesto l’intervento di un tecnico per esaminare il sistema d’allarme, ma l’analisi arrivò solo un mese e mezzo dopo, quando i dati erano ormai cancellati.
Bermani e la bicicletta mai verificata
“Il 25 agosto la signora Bermani fece un’integrazione verbale, precisando nuovi dettagli sulla bici. Ma nessuno tornò a controllare”, ha ricordato con amarezza. Un dettaglio che aggiunge ulteriore peso alle accuse di trascuratezza nelle indagini.
“Pensai che Stasi non si fosse nemmeno avvicinato al corpo”
Non mancano i dubbi anche sulla condotta di Alberto Stasi, poi condannato in via definitiva a 16 anni di reclusione. “All’inizio credevo fosse lui. Ma quando gli chiesi che volto avesse Chiara, mi rispose: ‘Pulito’. Eppure Chiara era una maschera di sangue. Pensai che forse non si fosse nemmeno avvicinato al corpo. Me lo immagino entrare, vedere il sangue e fuggire”. Una riflessione che getta ombre anche sulla versione ufficiale che ha portato alla sua condanna.
Il supertestimone Muschitta e il SUV mai cercato
Un passaggio delicato riguarda il supertestimone Giuseppe Muschitta, che parlò di una ragazza in bicicletta con il caschetto vicino alla casa di Chiara e di un piccolo SUV nero parcheggiato sul lato sinistro della strada. “Dettagli che solo chi era lì poteva conoscere. Lo stesso SUV fu segnalato anche da un commerciante. Eppure nessuno cercò quel veicolo, nessuno indagò quella pista”.
Il mistero della morte del meccanico Ferri
Infine, un riferimento inquietante alla morte del meccanico Ferri, avvenuta in circostanze mai chiarite. “Sfido chiunque a dire che si sia suicidato in un anfratto di 50 cm tagliandosi polsi e gola, senza che si sia mai trovata l’arma. Un collegamento esiste. Ma serviva un’indagine vera, a tutto campo. Che non è mai stata fatta”.
“Quando ho chiesto troppo, mi hanno isolato”
Marchetto conclude con amarezza, lasciando intuire che i suoi dubbi e le sue insistenze abbiano avuto un prezzo personale altissimo. “Sono stato estromesso dalle indagini, ho avuto crisi depressive. Qualcuno ha fatto di tutto per mettermi da parte. E alla fine, ci è riuscito”. Nel frattempo, la riapertura del caso continua a sollevare interrogativi. Se nuove prove dovessero emergere, non sarebbe soltanto il caso giudiziario a dover essere riscritto, ma anche la storia stessa della giustizia italiana.