Un pulmino carico di speranza e paura. Ventinove italiani, tra cui donne e bambini, hanno affrontato un viaggio estenuante per lasciare l’Iran, ormai nel pieno di un conflitto con Israele. A raccontare questa drammatica fuga è Raffaele Mauriello, professore universitario a Teheran da oltre vent’anni, in un’intervista all’Adnkronos. La loro è stata una corsa contro il tempo e contro la guerra, culminata in una traversata notturna a piedi del confine con l’Azerbaigian.
Il gruppo è riuscito a partire dalla capitale iraniana martedì 17 giugno, dopo aver vissuto giorni di angoscia crescente, esplosioni improvvise e un attacco missilistico che ha colto tutti di sorpresa. «Nessuno si aspettava un’azione diretta di Israele. C’era fiducia in una mediazione con gli Stati Uniti», racconta Mauriello, ancora scosso. E invece, la guerra è esplosa.
Scappati nella notte tra missili e bombe
Mentre attendevano il mezzo nei pressi della residenza dell’ambasciatrice Paola Amadei, un ordigno è esploso a breve distanza. Il boato ha gelato il sangue a tutti. La partenza è avvenuta in condizioni di tensione altissima, con l’incognita di un viaggio lungo quasi 24 ore, senza certezze e con il solo obiettivo di raggiungere la frontiera.
Ma anche sul pulmino, le difficoltà non sono mancate. Il tragitto verso il confine azero è stato interrotto da imprevisti e piccoli incidenti. Il passaggio in Azerbaigian si è rivelato il momento più critico: sotto il controllo severo delle autorità locali, i profughi hanno dovuto proseguire a piedi nella notte, tra controlli serrati e un’atmosfera che, nelle parole del professore, «sembrava uscita dal film Il Ponte delle Spie». I rapporti tra Teheran e Baku sono notoriamente tesi e ciò ha reso il valico ancora più complesso. Al confine si sono ritrovati anche cittadini cinesi, giapponesi e messicani, anch’essi in fuga.
L’arrivo a Baku, capitale dell’Azerbaigian, ha segnato la fine della fuga. Il gruppo è stato accolto dall’ambasciatore italiano Luca Di Gianfrancesco, che ha fornito loro supporto e assistenza. Un momento di sollievo dopo ore d’inferno.
Mauriello, che conosce bene l’Iran e la sua gente, racconta con dolore gli ultimi giorni vissuti a Teheran: palazzi rasi al suolo, zone residenziali devastate, scuole distrutte, colleghi scomparsi sotto le macerie. «Non avrei mai pensato di vedere tutto questo con i miei occhi», dice. E ora, il futuro è pieno di incertezze: il professore teme che il Paese possa avviarsi verso una deriva autoritaria e militarizzata, come già accaduto in passato ad altri Stati della regione. Una fuga disperata e simbolica. Una delle tante che potrebbero ripetersi se il conflitto dovesse allargarsi ulteriormente.