Durante dei lavori di ristrutturazione nel vecchio Padiglione Monaldi del San Camillo, a Roma, sono state rinvenute ossa umane. La struttura era da tempo in disuso, in parte occupata da senzatetto, e si trova vicino al punto dove, secondo una delle testimonianze più discusse del caso Orlandi, sarebbe stata tenuta prigioniera Emanuela. Il ritrovamento ha immediatamente riacceso i riflettori su una vicenda che da quarant’anni divide, emoziona e inquieta l’opinione pubblica italiana.
Ipotesi sul legame con Emanuela Orlandi
La domanda è una sola, e brucia: le ossa ritrovate appartengono a Emanuela Orlandi? Gli esperti sono ora al lavoro per determinare età, sesso e – soprattutto – profilo genetico del materiale osseo ritrovato. Un’eventuale corrispondenza con il DNA della ragazza scomparsa nel 1983 potrebbe aprire un nuovo, forse definitivo, capitolo dell’indagine.
La testimonianza di Sabrina Minardi
Secondo Sabrina Minardi, ex compagna del boss della Banda della Magliana Enrico De Pedis, Emanuela sarebbe stata tenuta prigioniera proprio in un palazzo di fronte al San Camillo, in via Pignatelli. Una struttura descritta come una cantina umida, con catene al muro e un bagno improvvisato. Un luogo che, secondo Minardi, sarebbe stato utilizzato come nascondiglio dalla Banda. Minardi, interrogata nel 2008, raccontò anche che la giovane sarebbe stata uccisa su ordine “dall’alto”, dopo essere stata trasportata con un’auto guidata, a suo dire, da monsignor Marcinkus, ex capo dello IOR.
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Le incongruenze del racconto
Nel suo verbale, però, la Minardi aggiunge anche che il corpo di Emanuela fu gettato in una betoniera a Torvaianica, insieme a quello di Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito di mafia Santino Di Matteo. Ma qui nasce un’incongruenza evidente: Giuseppe fu ucciso nel 1996, più di dieci anni dopo la scomparsa di Emanuela. Questo errore temporale ha minato la credibilità complessiva della testimonianza, ma restano molti dettagli del racconto che colpiscono per precisione. È possibile che la Minardi abbia sovrapposto eventi diversi, confondendo cronologie ma riferendo fatti reali?
L’attesa dell’esame del DNA
Gli anatomopatologi sono ora chiamati a fare chiarezza. L’esame genetico potrebbe rivelare l’identità dei resti trovati. Se appartenessero davvero a Emanuela, dopo quarant’anni potrebbe emergere finalmente una verità attesa da troppo tempo. Ma anche nel caso contrario, la presenza di resti umani in quella struttura impone nuove domande: chi era quella persona? Cosa ci faceva lì? Cosa è accaduto davvero in quel padiglione?
La speranza della famiglia Orlandi
Il fratello di Emanuela, Pietro Orlandi, continua a lottare per la verità, instancabile da anni. Al suo fianco, l’avvocata Laura Sgrò, che ha definito questa scoperta una coincidenza tutt’altro che banale. In un caso segnato da depistaggi, silenzi e complicità istituzionali, anche un piccolo indizio può diventare la chiave per ricostruire un’enorme verità. Emanuela aveva 15 anni, e un futuro che le è stato tolto. Oggi, quel futuro chiede ancora giustizia.
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