Il caso dell’omicidio di Chiara Poggi, avvenuto a Garlasco il 13 agosto 2007, potrebbe essere a una svolta, ma anche questa volta non senza ombre e complicazioni. Al centro dell’attenzione delle nuove indagini c’è l’impronta numero 33, quella rinvenuta nei pressi del terzo gradino della scala che conduce alla tavernetta dove fu ritrovato il corpo della giovane. Secondo la consulenza dattiloscopica disposta dalla Procura di Pavia, questa impronta è compatibile in 15 punti con il palmo della mano di Andrea Sempio, oggi indagato per concorso in omicidio. Ma ciò che doveva rappresentare un possibile punto di svolta, si è trasformato in un enigma giudiziario.
La scomparsa dell’impronta 33
Il dettaglio più sconcertante è che l’impronta 33 oggi non esiste più: sarebbe stata rimossa e distrutta, secondo quanto riportato da Il Messaggero. Dopo essere stata trattata con ninidrina, sostanza che rileva la presenza di sudore o sangue, fu asportata con un bisturi sterile dall’intonaco della scala. Ora però non si trova né negli archivi della Procura di Pavia né in quelli dei RIS di Parma. La sua distruzione, si ipotizza, potrebbe essere avvenuta dopo la sentenza definitiva che ha condannato Alberto Stasi a 16 anni per l’omicidio, rendendola allora un reperto “non più utile”.
Per gli avvocati di Stasi, che avevano ipotizzato di far svolgere una nuova consulenza genetica sull’impronta per cercare DNA biologico di Sempio, questa è una perdita gravissima. Eppure, le indagini non si fermano: il 17 giugno è previsto un incidente probatorio che coinvolgerà altri reperti mai analizzati prima o da rivalutare alla luce delle tecnologie oggi disponibili.
Le parole dell’ex procuratore
L’ex procuratore Mario Venditti, che nel 2017 e nel 2020 aveva chiesto l’archiviazione per Andrea Sempio, ha difeso le sue scelte. All’epoca, ha spiegato, non c’erano elementi sufficienti: la prova scientifica era ritenuta inservibile, e non c’erano riscontri oggettivi alle presunte anomalie che oggi riemergono. «Non c’era il DNA, né l’impronta 33 come oggi conosciuta, né evidenze solide su Sempio», ha dichiarato. Ma le cose sono cambiate: il DNA sotto le unghie di Chiara, che inizialmente risultava illeggibile, è oggi stato attribuito ad Andrea Sempio grazie a tecniche più moderne.
L’impronta 10: un’altra pista
Ma la 33 non è l’unica traccia tornata sotto i riflettori. C’è anche la cosiddetta impronta 10, un “contatto papillare” rilevato sulla parte interna della porta d’ingresso della casa dei Poggi. Secondo una relazione del Nucleo Investigativo, non furono mai svolti accertamenti biologici su questa impronta. I carabinieri cinque anni fa avevano già ipotizzato che potesse trattarsi di una mano sporca di sangue, lasciata durante l’allontanamento dell’aggressore.
Tuttavia, la comparazione dattiloscopica della traccia è rimasta parziale: presenta solo otto punti identificativi, non sufficienti per un confronto certo. Questo non esclude, però, la possibilità di effettuare analisi biologiche con strumenti attuali. Se il sangue fosse presente e appartenesse ad Alberto Stasi, potrebbe costituire un ulteriore indizio a suo carico. Al contrario, se fosse incompatibile con Stasi, suggerirebbe la presenza di un altro soggetto sulla scena del delitto.
Verso una possibile riapertura del processo?
Con Sempio oggi formalmente indagato, la Procura punta a riesaminare ogni elemento trascurato o non approfondito all’epoca, a partire dai tabulati telefonici, le impronte digitali, fino ad arrivare al materiale genetico residuo. Ma resta il paradosso: il reperto più importante, la prova simbolo di una nuova ipotesi investigativa, è scomparso.
Nel frattempo, le famiglie restano divise. Quella di Chiara Poggi continua a credere nella colpevolezza di Alberto Stasi, l’unico condannato. Ma il fronte difensivo di Stasi spera che, dopo 18 anni, la verità possa ancora essere riscritta. E in un caso che ha segnato profondamente l’opinione pubblica italiana, ogni nuovo dettaglio diventa cruciale.