Il ritrovamento di un file Word intitolato “abusati550.doc” salvato da Chiara Poggi su una chiavetta USB nel giugno del 2007, a due mesi dalla sua morte, ha riacceso speculazioni e interrogativi intorno al delitto di Garlasco. A riportare il documento alla luce è stato TgLa7, che lo ha mostrato per la prima volta in un servizio andato in onda nei giorni scorsi, sollevando nuove ipotesi su cosa potesse sapere la giovane 26enne uccisa nella villetta di famiglia il 13 agosto 2007.
Il contenuto della chiavetta USB
Il documento contiene una raccolta di articoli di cronaca su casi di abusi sessuali nella Chiesa, episodi copiati e incollati dalla rete che raccontano di violenze commesse da membri del clero in diverse parti d’Italia e del mondo. Non si tratta di appunti personali, ma della riproduzione di contenuti pubblici, raccolti forse per motivi di studio, interesse personale, o – secondo le tesi più ardite – per denunciare qualcosa di più vicino a lei.
Secondo Massimo Lovati, avvocato del nuovo indagato Andrea Sempio, quel file proverebbe che Chiara aveva scoperto qualcosa di troppo scomodo. La tesi dell’avvocato, che si muove ai margini dell’inchiesta ufficiale, è che la ragazza sarebbe stata eliminata da un sicario incaricato da una organizzazione criminale connessa a reati di tipo sessuale e pedofilia, con base o legami nel territorio di Garlasco.
Il legame con il Santuario della Bozzola
L’ipotesi viene accostata, anche se senza prove concrete, alla vicenda emersa anni dopo nel Santuario della Madonna della Bozzola, a pochi chilometri da Garlasco. Nel 2014, infatti, scoppiò un caso di ricatto sessuale ai danni di don Gregorio Vitali, rettore del santuario, che avrebbe pagato oltre 250 mila euro a due cittadini romeni per non far diffondere registrazioni a sfondo sessuale.
Durante quell’inchiesta non vennero mai provati episodi di pedofilia, ma intercettazioni e voci lasciarono intendere la possibilità dell’esistenza di comportamenti gravi e omertosi in quell’ambiente. La vicenda fu trattata anche da “Chi l’ha visto?”, che raccolse dichiarazioni su un presunto legame tra il delitto Poggi e quel contesto, tra cui la frase attribuita ai ricattatori: “La ragazza aveva scoperto il giro e diceva che avrebbe parlato, da lì è partito tutto”.
Gli interrogativi ancora aperti
Oggi, quelle parole non hanno fondamento giudiziario, ma tornano a essere discusse alla luce del file salvato da Chiara. Perché raccoglieva articoli sugli abusi? A cosa le servivano? Era solo un interesse personale o una raccolta motivata da qualcosa che aveva visto o saputo?
Gli inquirenti, però, non sembrano seguire questa pista, ritenendola priva di riscontri oggettivi. Non ci sono prove che colleghino il contenuto della penna USB all’omicidio o ad ambienti ecclesiastici, né che Chiara avesse contatti con il santuario o che frequentasse ambiti religiosi.
Una teoria che divide
La tesi di Lovati ha spaccato l’opinione pubblica. Per i legali di Alberto Stasi, condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio, ogni elemento che possa aprire nuovi scenari investigativi merita attenzione, soprattutto alla luce delle nuove indagini su Sempio e della compatibilità dell’impronta 33 trovata sulla scena del crimine con il suo palmo.
Tuttavia, per la Procura di Pavia, che sta lavorando con un impianto basato su prove scientifiche (DNA, impronte, celle telefoniche), l’ipotesi del sicario legato a una rete di abusi resta priva di elementi concreti e rischia di spostare l’attenzione dal rigore investigativo verso speculazioni non verificabili. Il file “abusati550.doc” resta un elemento curioso, forse inquietante, ma non ancora determinante. Può rappresentare un segnale, ma per diventare prova servirebbero collegamenti diretti, testimonianze attendibili e riscontri oggettivi. Senza questi, la pista del “sicario ecclesiastico” rimane un’ipotesi suggestiva, ma per ora priva di fondamento giudiziario.