Silvia Radin, cugina di Liliana Resinovich, rompe nuovamente il silenzio e lo fa con un appello carico di dolore, ma anche di rabbia e incredulità. Nel suo intervento alla trasmissione Chi l’ha visto?, la donna esprime chiaramente il proprio scetticismo verso l’ultima rivelazione emersa nelle indagini sulla morte della 63enne triestina: la possibile origine accidentale della frattura alla vertebra, causata non da un’aggressione ma da un errore durante l’autopsia.
Per Silvia si tratta di un ulteriore tentativo di confondere le acque: «Credo che tutte queste cose che stanno emergendo servano solo a depistare. Gli inquirenti di oggi hanno bisogno di serenità per lavorare, non di nuove ombre. Liliana è stata uccisa e brutalmente picchiata, il resto non ci interessa».
Il riferimento è alla dichiarazione del tecnico di sala settoria che, oltre due anni dopo l’autopsia, ha ammesso che la lesione sulla vertebra T2 del cadavere potrebbe essere stata provocata da una sua manovra. Un dettaglio che, se confermato, indebolirebbe una delle ipotesi che puntavano verso l’omicidio. Ma per la famiglia, e in particolare per Silvia, è un’altra dolorosa battuta d’arresto.
«Siamo stanchi di ipotesi, smentite e ripensamenti», dice con amarezza. «Voglio sperare che non ci sia qualcosa di più grande e segreto che si vuole coprire. Ma è proprio questo che temo». Un sospetto che pesa come un macigno sulla fiducia nei confronti delle istituzioni. «Mi auguro che almeno ora le autorità mi ascoltino davvero», aggiunge. Il tono è quello di chi ha già perso troppo, ma non vuole arrendersi.
La scomparsa di Liliana Resinovich il 14 dicembre 2021 e il ritrovamento del corpo venti giorni dopo hanno lasciato ferite profonde non solo nella famiglia, ma anche nella comunità triestina. E mentre l’indagine, con la recente iscrizione nel registro degli indagati del marito Sebastiano Visintin, prende una nuova direzione, i familiari sentono il peso del tempo che passa senza risposte. «Vorremmo solo che tutto finisse – conclude Silvia –. Non possiamo continuare ad aspettare anni per sapere cos’è successo davvero. Vogliamo la verità, vogliamo giustizia per Liliana».