TRIESTE – A due anni e mezzo dalla tragica scomparsa di Liliana Resinovich, il mistero intorno alla sua morte continua ad addensarsi. L’ultima puntata di Chi l’ha visto? ha riacceso i riflettori su una vicenda che, anziché chiarirsi, si arricchisce di nuovi elementi, contraddizioni e inquietanti interrogativi. Tre i fronti più delicati emersi: la testimonianza della cugina Silvia Radin, i movimenti di denaro nella casa che Liliana divideva col marito Sebastiano Visintin, e soprattutto la comparsa sospetta di alcuni cordini di canapa, simili a quelli usati per legare il corpo della donna.
La coperta nella bara e l’ombra sui rapporti familiari
Silvia Radin ha raccontato un particolare rimasto finora ai margini dell’inchiesta: Sebastiano Visintin avrebbe voluto inserire nella bara una coperta marrone, del tipo in uso nei campi profughi. “Me la lanciò addosso – ha dichiarato – e poi la fece mettere nella bara, vicino alla testa. Ma Liliana era già nel sacco”. La coperta, ha aggiunto, sarebbe poi scomparsa, senza che se ne conosca il destino. Ma è soprattutto l’accusa implicita a pesare come un macigno: “Liliana era controllata, aveva paura. Forse sapeva qualcosa che non doveva emergere”. Una frase che, nell’inchiesta, non può passare inosservata.
50 mila euro in contanti: soldi, silenzi e domande senza risposta
Altro punto controverso riguarda la presenza di ingenti somme di denaro. Circa 20 mila euro sarebbero stati trovati in casa. Altri 27 mila euro, secondo le dichiarazioni dello stesso Visintin, sarebbero stati spesi per un ristorante. Inoltre, 1.600 euro sarebbero stati dati al fratello di Liliana. Denaro contante, apparentemente senza un’origine chiara.
“Sebastiano diceva che provenivano dal suo lavoro come arrotino – ha commentato Silvia Radin – ma i conti non tornano: le entrate non bastano a giustificare quelle cifre”. Un dubbio che si fa più profondo alla luce di un altro dettaglio: la proposta fatta a due amici di custodire del denaro, subito dopo la scomparsa di Liliana. Un gesto inspiegabile, secondo chi indaga.
Il mistero dei cordini: erano in casa o no?
Infine, un dettaglio che potrebbe rivelarsi cruciale: i cordini di canapa usati per legare il corpo della donna. L’8 marzo 2022, durante un sopralluogo, la polizia chiese a Visintin se ve ne fossero in casa. La risposta fu negativa. Ma tre giorni dopo, l’11 marzo, tre matasse comparvero magicamente. A riferirlo è la giornalista Chiara Ingrosso, presente alla perquisizione, che ha denunciato anche pressioni ricevute da Visintin: “Mi pregava di dire che avevo aperto io il cassetto. Ma non era vero”. La scientifica ha successivamente analizzato i cordini trovati sul corpo e quelli recuperati in casa, riscontrando una compatibilità, ma non una corrispondenza certa. Anche qui, tutto resta in sospeso.
Nuove analisi sui telefoni: l’ultima speranza?
Intanto, il legale della famiglia Resinovich, l’avvocato Nicodemo Cozza, ha annunciato nuovi accertamenti forensi sui cellulari della vittima. Grazie a tecnologie più avanzate, sarà forse possibile recuperare dati finora inaccessibili, nella speranza che finalmente emerga un tassello decisivo. Il giallo di Liliana Resinovich, trovato senza vita il 14 dicembre 2021 all’interno di due sacchi neri, con indosso abiti non suoi, è ancora lontano dall’essere risolto. Le domande restano, così come il dolore dei familiari. E la verità, per ora, continua a sfuggire