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Ragazzino di 13 anni gettato nel fiume da un compagnetto, non ce l’ha fatta. Il ragazzino è ai domiciliari

bambino morto nel fiume gettato da un compagnetto bambino morto nel fiume gettato da un compagnetto

Sono passati quattro mesi dal 22 aprile, giorno di Pasquetta, quando Abdou Ngom, 13 anni, è stato visto per l’ultima volta alla “Spiaggia dei cristalli” di Verduno, lungo il Tanaro. Quel giorno, secondo le indagini, era in gita con tre amici più grandi. Uno di loro, oggi 15enne e ospitato in una comunità per minori, lo avrebbe afferrato e spinto in acqua, ignorando le sue urla di paura: «Non so nuotare, lasciami stare». La corrente, gonfia per le piogge dei giorni precedenti, lo ha trascinato via in pochi secondi.

All’inizio, il gruppo aveva parlato di un incidente, sostenendo che il ragazzo fosse scivolato. Ma versioni discordanti e nuovi elementi raccolti nei mesi successivi – chat e intercettazioni – hanno portato a una ricostruzione diversa: non un errore, ma un gesto volontario, forse una bravata o un atto di bullismo. La procura dei minori di Torino ha aperto un fascicolo per omicidio volontario con dolo eventuale e ha disposto gli arresti domiciliari per il quindicenne sospettato.

Le ricerche interrotte

Subito dopo la scomparsa, vigili del fuoco, protezione civile e carabinieri hanno setacciato il fiume con elicotteri, gommoni e droni. Le acque torbide e in piena hanno reso le operazioni estremamente difficili. Dopo giorni senza risultati, le ricerche sono state sospese. Oggi, con il Tanaro in condizioni di magra e le sponde accessibili, il padre di Abdou, Khadim Ngom, chiede di riprendere le operazioni: «Viviamo un doppio dolore: mio figlio è morto e non abbiamo il suo corpo. Voglio riportarlo in Senegal, dai suoi nonni, e dargli una sepoltura. Solo così potremo trovare un po’ di pace».

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L’ombra del bullismo

Dalle testimonianze raccolte emergerebbe un contesto di prevaricazione. Gli altri due ragazzi presenti avrebbero confermato che Abdou fu spinto in acqua nonostante le sue proteste. In alcune chat, il 15enne accusato – assistito dagli avvocati Giuseppe Vitello e Piermario Morra – sembrerebbe tentare di concordare la versione con gli amici. La difesa respinge le accuse: «Non è un omicidio».

Un sogno interrotto

Abdou era arrivato in Italia a tre anni. Giocava a calcio nella squadra locale e sognava di diventare un attaccante professionista. Il presunto responsabile della sua morte era stato un compagno di squadra. «Mia moglie non riesce a parlare, io voglio solo la verità», dice il padre. «Se un ragazzo ti dice che non sa nuotare, perché lo butti in acqua?».

L’appello alle autorità

Oggi Khadim si rivolge al prefetto e agli amministratori locali: «Riaprite le ricerche, ora il fiume è più basso. Non possiamo continuare a vivere senza sapere dov’è mio figlio». Un grido che unisce il dolore personale alla richiesta di giustizia, nella speranza che la vicenda di Abdou possa trovare finalmente una risposta.

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