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Roma, neonata trovata morta in un tombino: arrestata la mamma 29enne

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Roma – Una vicenda tragica e sconvolgente ha scosso la periferia della Capitale: una donna di 29 anni, di origini nigeriane, è stata arrestata con l’accusa di omicidio aggravato dopo aver partorito in segreto e, secondo le indagini, aver gettato il neonato vivo nel water, provocandone la morte. I fatti risalgono a ottobre scorso, quando la donna si trovava presso l’abitazione di alcuni amici, nei dintorni di Roma. Sarebbe proprio nel bagno di quella casa che avrebbe dato alla luce il bambino. Secondo la ricostruzione degli inquirenti, la donna avrebbe poi spinto il neonato nel gabinetto, lasciandolo lì, ancora in vita.

La segnalazione dei medici

A far partire le indagini sono stati i medici del pronto soccorso di un ospedale romano, dove la donna si era recata poco dopo il parto, in evidente stato di malessere. Di fronte alle domande del personale sanitario, la 29enne avrebbe negato di aver partorito, ma gli evidenti segni clinici di un parto recente hanno insospettito i sanitari, che hanno immediatamente allertato la polizia.

Il ritrovamento del corpo

Gli agenti, intervenuti presso l’abitazione segnalata, hanno avviato una complessa operazione di ricerca. Il corpo del neonato è stato ritrovato poco dopo, incastrato in un tombino collegato al sistema fognario dell’appartamento. L’autopsia ha confermato che il bambino era nato vivo, un elemento decisivo che ha fatto scattare l’accusa di omicidio.

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Arresto e conseguenze familiari

La donna è stata arrestata nei giorni scorsi con un’ordinanza di custodia cautelare in carcere, firmata dal giudice su richiesta della Procura. Attualmente si trova detenuta, in attesa dell’interrogatorio di garanzia. La 29enne ha altri due figli minorenni, che sono stati affidati a familiari su disposizione del Tribunale per i Minorenni, mentre i servizi sociali stanno seguendo il caso da vicino.

Una vicenda che scuote

Il fatto ha generato sconcerto e sgomento non solo nella comunità in cui è avvenuto, ma anche tra gli operatori socio-sanitari che da anni denunciano il bisogno di maggiore assistenza e supporto psicologico per le donne in condizioni di disagio, isolamento o vulnerabilità estrema. Le indagini proseguono per chiarire se la donna abbia agito deliberatamente o se dietro al gesto estremo si celino forme di disagio psichico o sociale, spesso sottovalutate.

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