Un amore malato, un’ossessione trasformatasi in odio, poi in sangue. Il femminicidio di Sara Campanella, la studentessa di 22 anni uccisa lo scorso 31 marzo 2025 a Messina, assume ora contorni ancora più drammatici. A rivelarli sono le pagine del diario personale di Stefano Argentino, il 27enne che ha confessato di averla sgozzata in pieno centro, davanti a testimoni e dopo mesi di stalking. Quelle stesse pagine lo inchiodano: tutto era già stato pianificato.
Il suo delirio, messo nero su bianco nel corso di mesi, mostra una mente sempre più scollegata dalla realtà. Il 5 ottobre 2024, quasi sei mesi prima dell’omicidio, scrive: «Provo a parlarle, ma continua a non fare niente. Proverò per un’ultima volta ad avvicinarmi, ma alla fine l’esito sempre quello sarà… la uccido e mi suicido». Una premonizione agghiacciante, che si è puntualmente realizzata.
Un’ossessione crescente, tra fantasia e rabbia
Il diario di Stefano Argentino, ritrovato all’interno del suo cellulare, è un alternarsi continuo di dichiarazioni d’amore idealizzate, tentativi di giustificazione e frasi colme di rancore. Nel 2023 scriveva: «Io piaccio a lei, e sono sicuro che anche lei prova alcune mie sensazioni». Con il passare del tempo, però, le frasi si fanno più violente, più oscure. Il 27 maggio 2024, segna uno dei primi momenti in cui la rabbia emerge con chiarezza: «Saremmo stati una coppia bellissima, ma non mi hai dato modo di iniziare a frequentarci».
Nel tentativo di controllare sé stesso, Stefano annota: «Le donne si trattano bene. Ricordalo!», oppure «Guardare i video Instagram di gente che tratta male le donne mi ha fatto del male». Un’illusoria moralità, che si sgretola nel confronto con la realtà.
La frustrazione e il delirio persecutorio
Sara, nei fatti, lo aveva già respinto da tempo. Lo aveva allontanato, si confidava con le amiche e cercava di evitarlo. Argentino, però, interpretava ogni gesto come un segnale nascosto: «Hai cambiato strada per salire con me in ascensore. Lei ha atteggiamenti strani e però si è messa dove stavo io». Le amiche di lei diventano “guardie del corpo” da cui difendersi. Le coincidenze, segnali da decifrare. La realtà si frantuma in un delirio interpretativo pericoloso, fatto di foto collezionate, gesti sovrainterpretati, frasi lette dove non esistono.
Il disagio psichico e l’autodenigrazione
A corredo dell’ossessione, emerge anche un forte odio verso sé stesso. Frasi sconnesse, quasi infantili, come: «Ho problemi grossi miei interni. Il nuovo modello di capelli… una riga terribile. Con lo shampoo alle erbe i miei capelli sono unti, neri, imbrogliati. Non mi sento alla tua altezza». L’immagine personale come fallimento, il corpo come ostacolo, la realtà come nemica. Il tutto in un crescendo di auto-isolamento, rafforzato dalla chiusura al mondo e da un rifiuto che diventa insopportabile.
Il messaggio alla madre e la morte annunciata
Tra le ultime note digitali ritrovate, c’è anche una lettera d’addio alla madre: «Mi dispiace, è giusto che si sappia questa storia. Non sono un mostro». Ma il delirio raggiunge il suo apice nell’ultima dichiarazione, che rimbalza come una condanna: «Ha deciso lei che dovevo ucciderla. In un attimo sono passato dall’amarla follemente all’odiarla a morte». È il manifesto di una lucida premeditazione, un tentativo di scaricare la responsabilità sulla vittima, pur sapendo che l’orrore era stato concepito da tempo.Il suicidio in carcere e la beffa dei risarcimenti
Il 6 agosto 2025, a cinque mesi dall’omicidio, Stefano Argentino si è impiccato nel carcere di Gazzi. Era sorvegliato speciale, ritenuto a rischio suicidio. Nonostante ciò, due settimane prima gli era stata revocata la sorveglianza attiva. Una decisione che oggi solleva domande e responsabilità. Paradossalmente, secondo la normativa vigente, la famiglia di Argentino potrebbe ottenere un risarcimento dallo Stato, in quanto il suicidio è avvenuto sotto custodia. La famiglia di Sara Campanella, invece, non ha diritto ad alcun indennizzo automatico, se non attraverso un processo civile complesso e doloroso.
Un sistema da rivedere
Il caso Campanella-Argentino è lo specchio di un sistema fragile: la sottovalutazione del rischio, la mancanza di strumenti per prevenire lo stalking, la carenza di risorse nelle carceri, e infine, un cortocircuito normativo che rischia di premiare i carnefici e abbandonare le vittime. Intanto, Sara non c’è più. Uccisa da un amore malato e da un sistema che non ha saputo proteggerla. E le parole scritte da Stefano Argentino, oggi, suonano come una tragica profezia che poteva – e doveva – essere fermata.
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