Sta di nuovo prendendo scena uno dei casi giudiziari più discussi e controversi degli ultimi decenni: quello dell’omicidio di Yara Gambirasio. In questi giorni è tornato alla luce un elemento comparso alla sedicesima udienza del processo, un’informazione rimasta a lungo sepolta tra le oltre 60 mila pagine dell’inchiesta. Un capello ritrovato incastrato tra il giubbino della ragazza e il terreno del campo di Chignolo d’Isola, luogo del ritrovamento del corpo, che risulterebbe appartenere a Rosita Brena, un nome fino ad oggi mai emerso nel processo. Un nome che, tuttavia, ha un’eco familiare: lo stesso cognome della maestra di ginnastica di Yara, Silvia Brena, il cui DNA era già stato rinvenuto sul polsino del giubbotto della vittima.
Il colpo di scena
L’informazione è emersa durante il controesame del genetista Carlo Previderè, incaricato dal PM Letizia Ruggeri, quando l’avvocato Claudio Salvagni (difensore di Massimo Bossetti) ha lasciato intendere che «più avanti ne vedremo delle belle». A quanto pare, uno dei capelli analizzati nei rilievi forensi — e appartenente a una donna con DNA mitocondriale identificato — corrisponderebbe esattamente al profilo genetico di Rosita Brena, presente nella lista delle 532 donne raccolte durante l’indagine originaria per identificare la madre di “Ignoto 1”.
Un capello che era già lì
Il dettaglio decisivo, secondo la difesa, è che quel capello non sarebbe volato sul posto successivamente, ma si trovava già lì nel momento in cui il corpo è stato deposto nel campo. Previderè ha infatti spiegato che la formazione pilifera era incastrata fra il giubbino di Yara e il terreno, rendendo molto plausibile che fosse presente al momento dell’aggressione o subito dopo.
Parente della maestra?
Il legame tra Rosita e Silvia Brena non è ancora chiaro. Le autorità non hanno finora chiarito se le due donne siano parenti — sorelle, cugine, o magari solo omonime. Ma il fatto che sul corpo siano stati trovati sia il sangue della maestra che un capello di una persona con lo stesso cognome, ha alimentato una serie di sospetti e ipotesi tutte ancora da esplorare.
Un nome ignorato per anni
Quel nome, secondo la difesa, è apparso solo una volta in tutto il fascicolo d’indagine, senza che fossero svolti approfondimenti, interrogatori o verifiche. Perché? È questa la domanda che ora si pongono non solo gli avvocati ma anche l’opinione pubblica. Perché, tra centinaia di reperti, quello con un’identità precisa sia stato ignorato?
Capelli, DNA e la famosa lista delle 532
Il nome di Rosita Brena spunta da una lista cruciale: quella delle 532 donne il cui DNA mitocondriale era stato raccolto dal RIS per essere confrontato con quello dell’allora “Ignoto 1”. Inizialmente, quell’analisi aveva portato fuori strada, confrontando il DNA di Yara anziché quello dell’assassino, impedendo l’immediata identificazione della madre di Bossetti. Tuttavia, proprio in quella lista era presente anche il profilo genetico di Rosita.
Bocche cucite su Rosita Brena
Dopo l’udienza, è scattata la caccia all’identità di questa misteriosa figura: chi è Rosita Brena? Dove vive? Ha mai avuto contatti con Yara? Ha frequentato la palestra? Domande per ora senza risposta. Nessuna comunicazione ufficiale è arrivata dalla Procura, nessuna conferma su possibili interrogatori o nuove indagini su questa pista.
Uno scenario che cambia?
Questo sviluppo, se confermato e approfondito, potrebbe modificare sensibilmente la narrativa processuale e offrire un nuovo punto di vista sulla dinamica dell’omicidio. La presenza del DNA di più donne — una delle quali identificata — sul corpo e sugli abiti della vittima mette in discussione l’ipotesi del colpevole unico e riaccende i sospetti su un possibile coinvolgimento di più persone, come già ipotizzato da alcuni esperti nel corso degli anni. Per ora, restano solo interrogativi. Ma uno, su tutti, pesa come un macigno: chi è davvero Rosita Brena e cosa c’entra con la morte di Yara Gambirasio?