«Le ho detto che non farò mai nulla contro la sua volontà». Parole semplici, ma cariche di peso e amore, quelle pronunciate da Andrea Tonello, padre di Chantal, la bambina sottratta alla sua custodia nel 2012 e ritrovata solo pochi giorni fa in Ungheria, dopo tredici anni di silenzio, attese e speranze. La piccola, rapita dalla madre quando aveva appena 14 mesi, è stata ritrovata giovedì 12 giugno in una casa di Mezőtúr, a circa 150 chilometri da Budapest, in una condizione psicologica estremamente fragile.
Un ritrovamento atteso per anni
Andrea Tonello, originario di Vigonza (Padova), ha raccontato a Fanpage.it il momento devastante in cui è stato contattato dalle autorità: «Mi hanno detto che avevano arrestato la madre e che dovevo andare a prendere mia figlia, come se fosse un pacco.» Il viaggio verso l’Ungheria è stato lungo e faticoso, anche a causa di un imprevisto: una gomma bucata che ha fatto perdere ore preziose. Quando Andrea è finalmente arrivato nella notte presso la stazione di polizia ungherese, si è trovato davanti una figlia sconosciuta e impaurita, che per 13 anni era rimasta chiusa in casa, senza scuola, amici o contatti con il mondo esterno.
“Mi guardava con odio”: una figlia cresciuta nella paura
«Non è mai uscita nemmeno per mangiare un gelato», racconta Andrea. «La madre le faceva vedere il mio profilo Facebook e le diceva che, se fosse uscita, l’avrei portata via per sempre. È cresciuta pensando che io fossi un orco». Il primo incontro è stato glaciale. Nessun abbraccio, nessuna parola affettuosa. Ma una timida apertura è arrivata dopo un’ora, quando Andrea le ha mostrato una foto della sorellina: «Ha accettato di vederla. Sempre a distanza. Se mi avvicinavo, si allontanava».
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Un affido esclusivo difficile da far valere
Andrea Tonello ha ottenuto l’affidamento esclusivo della figlia già nel 2013. Tuttavia, nel rispetto del trauma subito da Chantal, ha deciso di non portarla via immediatamente, evitando un ulteriore strappo. La bambina è stata quindi affidata alla nonna materna, una delle poche persone con cui è cresciuta, sotto il controllo dei servizi sociali, della polizia e di uno psicologo. «L’alternativa sarebbe stata una casa famiglia, ma in Ungheria alcune non sono adatte. Lei ha già sofferto abbastanza», spiega il padre.
I primi piccoli passi
Venerdì, Andrea ha cercato di costruire un primo momento di contatto. Le ha portato una torta, pizzette, un libro sui cani (che la bambina adora) e una gift card per acquistare vestiti – esperienza per lei completamente nuova. «All’inizio ha detto di no, poi ha accettato. Fino a poche ore prima non voleva nemmeno vedermi». Ora i contatti proseguiranno lentamente: messaggi, chiamate, qualche parola. «Le ho chiesto solo di non bloccarmi. Risponderà solo se vorrà. Ma almeno so che è viva, che fisicamente sta bene».
Tredici anni di lotta in solitudine
Per Andrea, questi tredici anni sono stati segnati da un’attività instancabile: appelli pubblici, presìdi, lettere, viaggi in Europa, proteste silenziose. Ha sempre rifiutato di arrendersi. «Volevo almeno sapere che stesse bene. Invece ho scoperto che per tutti questi anni non ha avuto una vita normale». Ma nonostante tutto, non prova rabbia: «Non l’avrei mai strappata alla famiglia in cui è cresciuta. Spero che, col tempo, possa venire lei da noi, a Padova. Già in una sera c’è stata una piccola apertura, nei prossimi mesi potrebbero esserci anche momenti più importanti».
Il messaggio ai genitori nella sua stessa situazione
«Non bisogna mollare mai», dice oggi. «Per l’amore che si prova per i propri figli, si va avanti. Anche se si resta soli. La mia avvocata Chiara Balbinot è sempre stata con me. Ma molte persone, anche in politica, hanno fatto spallucce. Bisogna essere pronti a lottare anche da soli». Chantal oggi ha quasi 14 anni. Non conosce suo padre, ma conosce la paura che le è stata instillata. Ora, però, ha anche un libro sui cani, un messaggio sul telefono e una promessa: “Quando sarà pronta, andremo insieme a mangiare un gelato.”