Il caso di Stefano Addeo, il professore di Marigliano finito nella bufera per un post violentemente offensivo contro Ginevra Meloni, figlia della presidente del Consiglio, si arricchisce di nuovi elementi che mettono in discussione la sincerità delle sue scuse. L’insegnante, 65 anni, prossimo alla pensione, aveva definito “impulsivo” e “stupido” il messaggio social in cui augurava alla bambina la stessa sorte toccata a Martina Carbonaro, la 14enne assassinata ad Afragola. Ma in realtà non si è trattato di un episodio isolato.
Gli altri post scomparsi ma non dimenticati
Addeo ha infatti pubblicato altri contenuti di tono simile. In un secondo post, poi rimosso ma di cui Adnkronos conserva copia, estendeva lo stesso macabro augurio ai figli dei vicepremier Antonio Tajani e Matteo Salvini, accostando la loro sorte a quella dei bambini palestinesi uccisi a Gaza, il tutto in riferimento a una foto dei tre ministri con il premier israeliano Benjamin Netanyahu.
L’esistenza di questi altri post contraddice la versione dell’impulsività isolata e rivela un comportamento reiterato, con toni estremamente gravi e inaccettabili, ancor più per chi ricopre un ruolo educativo.
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Il profilo social e l’odio politico
Sui suoi canali, Addeo ha spesso indirizzato insulti sessisti e denigratori verso Giorgia Meloni, usando termini come “pescivendola”, “carciofara”, “nana” e “fascista”. Un odio politico che, però, è andato ben oltre il legittimo dissenso e ha travalicato i limiti della libertà di espressione, incanalandosi nel linguaggio dell’odio personale e familiare.
Le scuse (parziali) e le conseguenze
In un’intervista a Il Roma, il docente ha chiesto scusa solo per il contenuto offensivo del post verso Ginevra, ribadendo però il proprio dissenso politico: «Non si augura la morte, soprattutto a una bambina. È stato un errore. Ma non ritiro le mie idee politiche. Non mi sento rappresentato da questo governo». Addeo ha anche denunciato di essere stato vittima di minacce e atti intimidatori, come il lancio di pomodori contro le finestre di casa. Ha sporto denuncia alla Polizia Postale e insiste sul fatto che in classe «non ha mai fatto politica» e che «gli studenti gli vogliono bene». Tuttavia, resta aperto il nodo sulla compatibilità di simili comportamenti pubblici con il ruolo di educatore, in particolare alla luce dei valori costituzionali di rispetto, tolleranza e responsabilità che la scuola italiana è chiamata a trasmettere.
In attesa dei provvedimenti
Il caso è ora all’attenzione dell’Ufficio Scolastico Regionale e del Ministero dell’Istruzione. Non è escluso che si proceda a un provvedimento disciplinare nei confronti del professore, anche se ormai a pochi mesi dalla pensione. Intanto, l’episodio riaccende il dibattito sui limiti della libertà di espressione nel contesto scolastico e sull’urgenza di un uso responsabil
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