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Garlasco, Cosa c’è nel video intimo che incastrò Alberto Stasi? Il “flop” del ragazzo per cui Chiara voleva lasciarlo. La verità

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Nel lungo e tortuoso iter giudiziario e mediatico dell’omicidio di Chiara Poggi, uno degli elementi più evocati – ma mai confermati ufficialmente – è quello del presunto video intimo rinvenuto nel computer di Alberto Stasi, all’epoca dei fatti fidanzato della vittima e oggi condannato in via definitiva a 16 anni per l’omicidio.

Secondo alcune ricostruzioni giornalistiche risalenti a fasi intermedie delle indagini, all’interno del pc spontaneamente consegnato da Stasi agli inquirenti, sarebbe stato trovato un filmato girato con una webcam, nel quale appariva la giovane coppia in un momento privato. Il video, più che mostrare un’intimità fisica, avrebbe rivelato la mancanza di una vera relazione sessuale tra i due, lasciando intendere che il rapporto fosse sostanzialmente platonico.

Il significato attribuito al video: un possibile movente?

Questa presunta scoperta venne letta da alcuni cronisti come un possibile indizio di crisi tra i due giovani: secondo tale ricostruzione, Chiara Poggi avrebbe manifestato l’intenzione di lasciare Alberto, stanca di una relazione che – pur avendo durata e profondità affettiva – sarebbe stata priva di un’intimità fisica appagante.

Da qui la narrazione che voleva un Alberto Stasi frustrato, ferito nell’orgoglio e nel controllo della relazione, e spinto da questo a compiere un gesto estremo, dettato dalla rabbia o dalla paura dell’abbandono. In questa versione, il video diventerebbe il “movente psicologico” dell’omicidio, un elemento privato che avrebbe accelerato la fine della relazione e, secondo questa teoria, scatenato la violenza.

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Nessuna conferma ufficiale, ma un impatto mediatico duraturo

Tuttavia, questo video non è mai stato ufficialmente depositato agli atti come prova centrale, né mai è stato al centro di un incidente probatorio. Gli inquirenti non ne hanno mai confermato l’esistenza, e l’allora procuratore e i giudici non lo hanno mai citato nei dispositivi di condanna come elemento determinante. L’avvocato difensore di Stasi, Giovanni Lucido, già allora precisò: «Non posso confermare né smentire la presenza di video o altri contenuti, perché il computer è sotto sequestro e non abbiamo potuto visionarlo.»

Eppure, l’impatto mediatico della voce fu enorme: l’idea che dietro l’omicidio ci fosse un disagio sessuale, una tensione intima mai risolta, consolidò una narrazione che in parte disegnava Alberto Stasi come un ragazzo fragile, gelido, represso e potenzialmente violento.

Una narrazione ambigua, mai supportata da prove concrete

Col senno di poi – e alla luce della condanna fondata su altri elementi, come l’assenza di tracce biologiche, l’analisi delle scarpe, e le incongruenze nei racconti di Stasi – il presunto video intimo appare oggi più come un mito narrativo che un elemento d’indagine reale.

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