A quasi diciotto anni dall’omicidio di Chiara Poggi, emergono dettagli finora rimasti in secondo piano che gettano nuove ombre sulla fase iniziale dell’inchiesta e sul ruolo marginale assegnato ad alcune figure chiave. A finire sotto i riflettori, questa volta, è Stefania Cappa, cugina di Chiara, e la sua famiglia, il cui coinvolgimento diretto nel delitto non è mai stato formalmente ipotizzato, ma che oggi torna a suscitare interrogativi, soprattutto per via di alcune telefonate intercettate e in parte ignorate dagli inquirenti dell’epoca.
Le 18 telefonate ignorate
Siamo al 27 settembre 2007, lo stesso giorno in cui Alberto Stasi viene scarcerato dopo essere stato arrestato tre giorni prima con l’accusa di omicidio. Quel giorno, Marco Demontis Muschitta fornisce agli investigatori una testimonianza poi ritrattata, relativa a una ragazza bionda in bicicletta. Ma in quelle stesse ore, 18 telefonate tra Stefania Cappa e i suoi genitori vengono annotate dagli investigatori e poi archiviate come “non rilevanti”. Una decisione che oggi, alla luce dei nuovi brogliacci investigativi resi pubblici, appare quantomeno frettolosa.
In una delle chiamate, Ermanno Cappa, padre di Stefania, discute con la figlia di come organizzarsi per denunciare media e giornali, mentre in un’altra si fa riferimento diretto alla scarcerazione di Stasi. La preoccupazione ricorrente è evitare i giornalisti. «Se mi vieni a prendere tu, così evito i cronisti», dice Stefania alla madre. Ma nonostante la voglia di privacy, il rapporto con la stampa è tutt’altro che interrotto.
Il doppio volto di Stefania: lontana dai media, ma in contatto con giornalisti
Già a novembre 2007, Stefania Cappa confida a una giornalista di conoscere «nomi e cognomi delle ex e delle nuove di Marco Panzarasa e Alberto Stasi» e propone un incontro «al bar dell’università per mostrare il mondo». Ma è con un inviato del Tg5 che emerge un retroscena ancora più significativo: si fa riferimento a un colloquio tra Stefania e Stasi avvenuto il 17 agosto in caserma, un episodio presentato come un «tentativo di incastrare il giovane preparato coi carabinieri». Stefania sembra partecipare con entusiasmo: «Ti do un milione di elementi su cui andare a braccare le persone giuste».
La regia paterna
Quando però trapela l’intenzione di mandare in onda un video con la sua testimonianza, Stefania si agita. Entra in scena nuovamente il padre Ermanno, avvocato noto e influente a Garlasco, che il 12 dicembre rassicura la figlia con una frase che oggi suona carica di ambiguità: «Stai tranquilla che l’indagine va avanti come si deve, quel cretino lì se devono incastrarlo lo incastrano».
Una dichiarazione che, seppur pronunciata in ambito privato, sembra indicare una piena consapevolezza di come l’inchiesta avrebbe potuto orientarsi, e lascia spazio all’ipotesi che vi fosse un certo clima di complicità o almeno di anticipazione di ciò che sarebbe accaduto.
I sospetti rimasti ai margini
Va ricordato che la famiglia Cappa era in possesso delle chiavi della villetta di via Pascoli e conosceva i codici dell’allarme. Tuttavia, all’epoca non vennero mai indagati in modo approfondito, in un contesto in cui tutte le attenzioni si concentrarono quasi esclusivamente su Stasi. Oggi, con l’inchiesta riaperta, anche queste omissioni investigative stanno tornando sotto esame.
Verso un riesame?
Nel contesto della nuova indagine, che vede Andrea Sempio indagato per concorso in omicidio, le telefonate e gli atteggiamenti della famiglia Cappa potrebbero acquisire un nuovo peso, non necessariamente accusatorio, ma utile per comprendere le dinamiche relazionali e informative che hanno caratterizzato le prime ore e i primi giorni successivi al delitto.
Una cosa è certa: le telefonate ignorate, oggi rilette alla luce delle nuove piste, raccontano un’altra storia. Forse non quella dell’omicidio in sé, ma certamente quella di un’inchiesta che – come già accaduto in altri casi italiani – potrebbe non essere stata condotta con la completezza e l’equilibrio che meritava. E Chiara, oggi più che mai, merita la verità. Tutta.