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La giovane collega le ruba il marito e la iscrive in un sito di escort: Insegnante perseguitata insieme ai figli

insegnante insegnante

RAVENNA – Una docente di 50 anni ha visto la propria vita trasformarsi in un incubo dopo la pubblicazione, a sua insaputa, di un falso profilo su un sito di incontri a pagamento. Nell’annuncio, apparso su una piattaforma nota per ospitare inserzioni di escort, la donna veniva descritta come disponibile a incontri con “uomini affascinanti e premurosi”. Da quel momento sono iniziate le molestie: chiamate, messaggi e foto esplicite, non solo sul cellulare personale, ma anche sulla linea fissa e perfino sui telefoni dei figli. Il caso è ora finito in tribunale. L’insegnante – come riportato da Il Resto del Carlino – si è costituita parte civile nel processo che si è aperto mercoledì 4 giugno a Ravenna, dove alla sbarra c’è la nuova compagna dell’ex marito, anche lei giovane insegnante, accusata di sostituzione di persona e stalking.

Un incubo lungo due anni

«Era una persecuzione continua, durata quasi due anni», ha raccontato l’avvocato della vittima, Luca De Tollis, che ha sottolineato il grave impatto psicologico della vicenda non solo sulla donna, ma anche sui figli. «Il disagio è diventato insostenibile quando gli sconosciuti hanno cominciato a contattare anche loro». Tutto è iniziato con alcune strane telefonate, poi proposte sempre più esplicite. Insospettita, la donna ha cercato online il proprio numero e ha scoperto il profilo falso. A quel punto si è rivolta ai carabinieri e ha sporto denuncia. Le indagini informatiche hanno condotto gli investigatori a un’utenza legata alla compagna dell’ex marito. Il numero era intestato a un sacerdote di Faenza, completamente estraneo alla vicenda e oggi anch’egli parte civile nel procedimento.

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L’imputata nega: “Anche io vittima”

La trentenne, maestra di scuola dell’infanzia, accusata ha respinto ogni addebito in aula. Ha dichiarato di essere stata lei stessa vittima di molestie analoghe, e ha negato categoricamente di aver creato l’annuncio. Ma gli investigatori nutrono dubbi: la donna avrebbe rifiutato di fornire il pin del cellulare e i dati raccolti indicherebbero connessioni riconducibili ai suoi dispositivi personali. La Procura intende dimostrare che si è trattato di un atto di vendetta, maturato in un contesto familiare teso dopo la separazione.

La richiesta della vittima: “Giustizia per me e i miei figli”

In aula, la docente ha chiesto che venga fatta giustizia: «Mi è stata tolta la serenità, sono stata marchiata ingiustamente davanti a colleghi, genitori e studenti». Le udienze proseguiranno nelle prossime settimane e la sentenza è attesa entro l’estate. Nel frattempo, l’episodio rilancia il tema della violenza digitale e delle vendette personali online, in un contesto dove anche strumenti apparentemente banali possono diventare armi pericolose nelle mani sbagliate.

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