La riforma del dimensionamento scolastico, introdotta con la Legge di Bilancio 2023, è ormai realtà. Le sue prime, importanti conseguenze inizieranno a manifestarsi a partire dall’anno scolastico 2024/2025, con effetti rilevanti su organici, autonomie scolastiche e posti di lavoro in tutta Italia. Al centro del dibattito ci sono tagli strutturali, una riduzione delle sedi scolastiche e un innalzamento dei parametri minimi per costituire un’autonomia scolastica, che stanno sollevando forte opposizione da parte di diverse Regioni.
COSA PREVEDE LA RIFORMA
La riforma è stata attuata tramite un decreto del Ministero dell’Istruzione e del Merito (MIM) in concerto con il Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), approvato previo accordo in Conferenza unificata tra Stato e Regioni. Il decreto definisce i criteri per la determinazione dell’organico dei dirigenti scolastici e dei DSGA (Direttori dei Servizi Generali e Amministrativi) per il triennio 2024-2027. Il provvedimento eleva da 600 a 900–1.000 alunni il parametro minimo per l’attribuzione dell’autonomia scolastica. In pratica, una scuola per avere un proprio dirigente dovrà avere almeno 900 alunni, soglia che può salire fino a 1.000 in determinati contesti.
GLI EFFETTI: MENO SCUOLE E MENO POSTI DI LAVORO
Le conseguenze sono significative:
- Si prevede la chiusura di oltre 700 istituzioni scolastiche entro due anni.
- Il numero complessivo delle scuole passerà dalle attuali 8.136 a circa 6.885.
- Verranno eliminati tutti gli istituti “sottodimensionati”, ovvero con meno di 900 alunni, anche se oggi dotati di autonomia.
- Si stima un risparmio economico su oltre 1.400 stipendi di dirigenti scolastici e DSGA.
- I fondi risparmiati verranno destinati, in parte, a finanziare le spese per le supplenze e altri settori del bilancio scolastico.
LA REAZIONE DELLE REGIONI
Il decreto non ha trovato l’unanimità delle Regioni. Quattro di esse — Toscana, Campania, Puglia ed Emilia-Romagna, tutte a guida centrosinistra — hanno impugnato la norma dinanzi alla Corte Costituzionale, sostenendo che essa viola le competenze regionali in materia di istruzione e l’autonomia scolastica garantita dalla Costituzione. Anche alcune Regioni a guida centrodestra, come Sardegna e Abruzzo, hanno manifestato contrarietà alla riforma, mentre il Veneto ha espresso forti perplessità, chiedendo che venga tutelata la capacità programmatoria delle autonomie regionali.
IL CASO MARCHE
Nelle Marche la riforma ha generato polemiche politiche e sindacali. La Cgil Marche denuncia il mancato intervento della Regione in difesa del sistema scolastico locale, nonostante il dato allarmante: 114 istituti scolastici nelle Marche non raggiungono i 900 alunni (30 ad Ancona, 23 ad Ascoli/Fermo, 32 a Macerata e 29 a Pesaro-Urbino). Secondo Rossella Marinucci, segretaria regionale Cgil, “le aree interne saranno le più colpite dalla riforma a causa della costante riduzione della popolazione scolastica. Il rischio è quello di avere scuole con dieci comuni accorpati, peggiorando l’accesso all’istruzione e mettendo a rischio numerosi posti di lavoro”.
Antonio Renga, segretario generale della FLC Cgil Marche, ha criticato l’assessora regionale Chiara Biondi per aver sostenuto il decreto, senza una reale opposizione in sede di Conferenza Stato-Regioni. Renga sottolinea: “Due regioni di centrodestra hanno votato contro e quattro di centrosinistra hanno fatto ricorso. La Regione Marche ha invece approvato in silenzio un decreto che non figurava nel programma elettorale. Anche sull’autonomia differenziata, non ha ancora espresso una posizione chiara”.
QUALI RISCHI?
La riforma potrebbe:
- Penalizzare ulteriormente le aree interne e montane, dove già oggi è difficile garantire il diritto allo studio.
- Allungare le distanze tra studenti e servizi scolastici, in particolare per i più piccoli.
- Aumentare il carico gestionale per i dirigenti scolastici, che si troveranno a gestire istituti sempre più grandi e disomogenei.
- Indebolire la partecipazione delle famiglie e delle comunità locali, rendendo più difficile un dialogo efficace tra scuola e territorio.
Il dimensionamento scolastico rappresenta una delle riforme più impattanti degli ultimi anni sul sistema educativo italiano. Mentre da un lato si punta al contenimento della spesa pubblica, dall’altro aumentano i timori per gli effetti su qualità della didattica, equità territoriale e tutela del personale. Il ricorso alla Corte Costituzionale e il crescente malcontento in molte regioni potrebbero rallentare o rimettere in discussione l’intero impianto della riforma. Nel frattempo, le scuole e le famiglie attendono chiarimenti e soluzioni che non mettano a rischio il diritto all’istruzione per tutti.