Il caso di Liliana Resinovich continua ad aggrovigliarsi in un labirinto di contraddizioni, dubbi e colpi di scena. A oltre due anni dalla sua tragica morte, il mistero che avvolge il destino della 63enne triestina rimane ancora senza una verità giudiziaria definitiva. Il ritrovamento del corpo — rannicchiato in posizione fetale, infilato in due sacchi della spazzatura e avvolto in buste di plastica — non ha portato a una ricostruzione chiara di ciò che accadde tra il 14 dicembre 2021, giorno della scomparsa, e il 5 gennaio 2022, quando il cadavere fu scoperto in un’area boschiva nei pressi del parco di San Giovanni, a Trieste.
Il nodo temporale: dove fu Liliana per 22 giorni?
Uno degli interrogativi più spinosi riguarda proprio il periodo di tempo intercorso tra la scomparsa e il ritrovamento. Se davvero, come sostiene la perizia disposta dalla Procura, il corpo fosse rimasto lì per 22 giorni, ci si aspetterebbe un livello di decomposizione ben più avanzato. Ma non è così. Cristina Cattaneo, antropologa forense tra le più accreditate in Italia, ha ritenuto compatibile la morte di Liliana con le prime ore successive alla scomparsa, indicando come finestra temporale il mattino del 14 dicembre. A quel punto, allora, si apre un ulteriore enigma: dove è stato custodito il corpo prima di essere depositato tra i cespugli?
Omicidio o suicidio: una verità ancora sospesa
La prima autopsia non aveva individuato segni evidenti di violenza: da qui l’ipotesi di un suicidio, seppur atipico. Tuttavia, la frattura alla seconda vertebra toracica emersa durante una successiva autopsia aveva inizialmente fatto pensare a un colpo ricevuto da dietro, compatibile con uno strangolamento manuale. In un ulteriore colpo di scena, però, un tecnico forense ha dichiarato che la lesione potrebbe essere stata causata durante le manovre preliminari della prima autopsia. Così anche questa traccia, che poteva orientare in modo deciso verso l’omicidio, viene messa in discussione.
Un triangolo sentimentale e il sospetto sul marito
Nel vortice delle indagini è finito anche Sebastiano Visintin, marito della vittima. Fotoreporter in pensione, da subito ha sostenuto la tesi del suicidio. Ma la Procura ha deciso di iscriverlo nel registro degli indagati per omicidio volontario: un atto dovuto, precisano i legali, per permettere alla difesa di partecipare a tutti gli accertamenti. La sua figura è diventata centrale quando è emersa la relazione tra Liliana e Claudio Sterpin, ex campione sportivo con cui lei pare stesse progettando una nuova vita. L’ex amante ha raccontato che Liliana andava da lui ogni martedì a stirargli le camicie e che la donna avrebbe voluto lasciare Sebastiano.
Il denaro e la pista economica
Secondo Sergio Resinovich, fratello della vittima, dietro la morte ci sarebbe un possibile movente economico. Liliana, dice, aveva oltre 100.000 euro in banca. Ha più volte escluso il suicidio, presentando anche una memoria alla Procura nella quale avanza sospetti su un parente. Anche in questo caso, però, non emergono prove concrete.
Un aborto segreto e una vecchia intercettazione
Un elemento inedito emerso dalle indagini è una intercettazione del 1991 in cui Visintin racconta di aver accompagnato la moglie ad abortire un figlio non suo. Un dettaglio risalente a decenni prima, ma che per gli inquirenti rivela tensioni mai risolte all’interno della coppia. Questa rivelazione ha portato nel 2023 alla riesumazione del corpo per nuovi accertamenti.
Il mistero dei soldi, dei cordini e delle versioni che cambiano
Restano altri dettagli inquietanti, come il ritrovamento in casa di Visintin di cordini di canapa intrecciata simili a quelli trovati sulla scena del ritrovamento del corpo, che però inizialmente non erano presenti durante un sopralluogo. Un apparente mistero che ha sollevato nuove domande sulla manomissione di prove.
A oggi, nonostante due autopsie, diverse perizie, testimonianze contrastanti e perfino la scoperta di fondi e conti sospetti, il caso di Liliana Resinovich non ha ancora trovato una verità processuale definitiva. Rimane sospeso, come lo sguardo di un Paese che attende giustizia per una donna sparita e ritrovata senza vita, in circostanze che sembrano voler sfuggire a ogni tentativo di razionale comprensione.