Nuovi elementi tornano a scuotere il già complesso caso dell’omicidio di Chiara Poggi, la giovane uccisa nella sua villetta di Garlasco il 13 agosto 2007. A distanza di quasi 18 anni, una nuova analisi delle tracce ematiche condotta dall’esperto Enrico Manieri, tecnico bresciano specializzato in Bloodstain Pattern Analysis (BPA), apre scenari investigativi inediti. Secondo il suo studio, sulla scena del crimine potrebbero essere state presenti almeno due persone, ipotesi che rimetterebbe in discussione la narrazione giudiziaria finora accettata.
L’impronta misteriosa
Durante le sue analisi Manieri afferma di aver individuato un’impronta ematica non compatibile con le celebri scarpe Frau numero 42, ritenute parte dell’equipaggiamento dell’assassino. «Ho rilevato un’impronta nel sangue che non corrisponde alla suola a pallini delle Frau – spiega l’esperto a Bresciaoggi – ma a un altro tipo di scarpa, con tassellatura differente».
In particolare, l’impronta presenta sette tasselli verticalmente zigrinati, una caratteristica che Manieri ritiene compatibile con un paio di scarpe ritrovate in un fosso a Groppello Cairoli, non lontano da Garlasco. Il ritrovamento delle scarpe – accompagnate da alcuni abiti – era avvenuto tempo fa, ma finora non aveva suscitato particolare attenzione. Se la corrispondenza tra la suola e l’impronta ematica fosse confermata, si tratterebbe della prova dell’intervento di una seconda persona sul luogo del delitto.
Una scena troppo complessa per un solo autore?
Secondo Manieri, la complessità della dinamica del crimine non sarebbe compatibile con l’azione di un solo individuo. «Una sola persona avrebbe avuto grandi difficoltà a compiere tutte le azioni necessarie – spiega – soprattutto su una scala così stretta, senza lasciare ulteriori tracce». L’ipotesi di una complicità cambia radicalmente la prospettiva: non solo un autore materiale, ma anche un eventuale secondo soggetto presente, attivo o passivo, durante o dopo il delitto.
Manieri avrebbe già comunicato le sue osservazioni alla difesa di Alberto Stasi, l’ex fidanzato della vittima e condannato in via definitiva a 16 anni di carcere nel 2015. La nuova scoperta potrebbe rappresentare una possibile base per un’istanza di revisione, o comunque rafforzare la tesi secondo cui la ricostruzione ufficiale dei fatti presenta ancora zone d’ombra.
Il capello nella spazzatura: nuova pista genetica
Ma le sorprese non finiscono qui. Nell’ambito dell’incidente probatorio disposto dalla gip Daniela Garlaschelli, e in corso presso i laboratori della Questura di Milano, è emerso un nuovo reperto biologico: un capello lungo circa tre centimetri, ritrovato tra i rifiuti della casa della vittima. Il materiale fa parte del contenuto del celebre sacco azzurro della spazzatura, sigillato all’epoca delle indagini e mai analizzato in modo approfondito.
Il capello sarà ora sottoposto a verifiche al microscopio da parte dei consulenti del gip, i biologi Denise Albani e Domenico Marchigiani, nel tentativo di estrarre un profilo di DNA nucleare. Se dovesse emergere una corrispondenza con profili già noti o nuovi, si aprirebbero ulteriori sviluppi investigativi.
Una nuova fase per il caso Garlasco
Il caso Poggi, a lungo considerato giudiziariamente chiuso, è ora al centro di un inatteso rinnovato interesse investigativo. Le nuove analisi dattiloscopiche, ematologiche e genetiche volute dalla Procura di Pavia puntano a chiarire se vi siano altri soggetti coinvolti oltre a Stasi e se esistano prove trascurate o mai esaminate con le moderne tecnologie.
Dall’impronta “anonima” alla possibile presenza di un secondo individuo, fino al capello custodito per anni senza analisi, il giallo di Garlasco si arricchisce di nuovi indizi. Se confermati, questi elementi potrebbero riaprire un capitolo giudiziario che in molti credevano ormai chiuso
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