Caso Liliana Resinovich, nuova bufera sull’autopsia: il tecnico confessa una frattura, il fratello Sergio attacca
TRIESTE – A oltre tre anni dalla morte di Liliana Resinovich, il caso si arricchisce di un nuovo, controverso capitolo. Giacomo Molinari, tecnico anatomopatologo che partecipò alla prima autopsia sul corpo della donna, ha dichiarato di aver provocato accidentalmente la rottura di una vertebra toracica durante l’esame. Una lesione che aveva avuto un ruolo chiave nella seconda perizia medico-legale, orientando l’inchiesta dalla pista del suicidio a quella dell’omicidio.
La rabbia della famiglia: “Va licenziato”
La rivelazione ha scatenato la furia dei familiari della vittima, in particolare del fratello Sergio Resinovich, che da sempre sostiene la tesi dell’omicidio e accusa il marito di Liliana, Sebastiano Visintin. In una dichiarazione all’ANSA, Sergio ha definito Molinari «un fantoccio pericoloso», chiedendone l’immediato licenziamento da parte dell’Azienda Ospedaliera di Trieste.
«Se davvero ha causato quella frattura – ha affermato Sergio – aveva l’obbligo di segnalarlo subito, non due anni dopo, e certamente non ai giornali». Il fratello della vittima ha inoltre rivelato di aver presentato un esposto all’Ordine dei Medici, chiedendosi se questa tardiva ammissione non sia in realtà un tentativo di copertura: «Chi sta cercando di proteggere?».
“Trattata come un manichino”
Durissimo il tono di Resinovich anche verso le modalità dell’autopsia. «Parla di Liliana come fosse un sacco di patate», ha accusato, «quando invece c’erano altri specialisti presenti, tra cui i miei consulenti, che non hanno mai parlato di simili danni». Secondo Sergio, si starebbe cercando di “normalizzare” prassi inaccettabili, come la rottura di ossa durante esami medico-legali: «È il momento di far intervenire gli ispettori del Ministero».
“La frattura non cambia nulla: Liliana è stata uccisa”
Nonostante l’importanza attribuita alla vertebra fratturata, per Sergio Resinovich la vera chiave del mistero è altrove. «Mia sorella – ribadisce – è stata picchiata e poi uccisa. La lesione vertebrale, ammesso che esista, non cambia il quadro: ci sono traumi evidenti sul corpo, incompatibili con una caduta accidentale».
Inoltre, ha aggiunto un nuovo tassello all’inchiesta: avrebbe segnalato in Procura un testimone chiave, capace di dimostrare che in un giorno preciso nell’abitazione di Visintin era presente un estraneo, mentre il marito di Liliana si trovava altrove. «Se non ci sono segni di effrazione – si chiede – chi altri aveva le chiavi di casa?».
Il peso dell’attesa
Infine, Sergio Resinovich ha lanciato un appello agli inquirenti: «Non è la vertebra la pista da seguire, ma il cordino, le chiavi e le presenze anomale nell’appartamento. Chiediamo verità, ma anche tempi rapidi: questa attesa logora e sporca tutto. Per noi è diventato insostenibile».
Il caso, già intricato, si complica ulteriormente. E mentre si attendono sviluppi dalla Procura, la famiglia Resinovich continua la sua battaglia per una verità piena, limpida e definitiva.